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urga 189


tavano alla Banca Russo-cinese) arrivò al galoppo un soldato cinese che c’indicò la via. Passammo vicino ad una fila di bianche pagodine di stile tibetano, vagamente simili a dei birilli d’un gigantesco giuoco di boccie, e, sboccando all’aperto, sulla cima di una collina vedemmo un grandioso palazzo europeo. Non so dirvi quale gioia improvvisa c’invase alla vista di quell’atomo d’Europa caduto in piena Mongolia. Fu come se ci si fosse presentata la nostra casa. Non sapevamo ancora cosa fosse quell’edificio, lontano Nelle pianure paludose fra Urga e Kiakhta,
L’Itala risollevata da un affondamento si appresta a rimettersi in marcia.
tre o quattro chilometri, circondato da costruzioni più basse, hangars e scuderie all’apparenza. Ma per noi era una dimora amica: aveva l’impressione dell’amicizia; ci confortava niente altro che con la sua apparenza nostrana. Presto vedemmo scritto a grandi caratteri e in quattro lingue sulla sua facciata: “Banca Russo-cinese„. Arrivammo suonando trionfalmente la cornetta con entusiastica costanza.

Al cancello d’ingresso era fermo un tarantas! due cosacchi passavano per la strada, e si fermarono a guardarci, e noi li sa-