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206 capitolo ix.


quelle mani subito ci ricomparvero davanti aperte e tese, ed ebbero il meritato compenso delle loro fatiche. Uno di quelli uomini parlava un po’ di russo.

— Quale è la strada per Kiakhta? — gli domandò Borghese.

— Vi sono due strade per Kiakhta; una passa per la montagna, e l’altra per la pianura. Quella della pianura è la migliore.

— Da che parte è la migliore?

— È questa qui dove siamo.

— Allora mostraci dove è la peggiore.

Ce l’indicò e, finiti i nostri preparativi, rimesse al posto corde, tavole e attrezzi, ci dirigemmo da quella parte. La nostra partenza cagionò la più ragionevole sorpresa a tutta quella gente che ci aveva aiutati a disincagliarci. Non ci aveva visti arrivare, e probabilmente supponeva si trattasse di uno strano furgone i cui cavalli fossero stati condotti lontano. Il frastuono del motore messo in azione la fece arretrare con un movimento di paura; il movimento dell’automobile la fece ridere. Erano tutti ilari e soddisfatti come quei due mongoli che avevamo incontrato arrivando ad Urga. Del resto questo effetto esilarante dell’automobile lo abbiamo riscontrato su tutte le popolazioni più ingenue e più semplici. L’ammirazione è il sentimento esclusivo di chi sa.

Il sentiero serpeggiava per valloni, valicava colline, era un po’ sassoso, un po’ ripido talvolta, sarebbe stato pessimo se non impossibile per dei carri a cavalli, ci costringeva a procedere pianissimo, con ogni cautela, ma ne eravamo soddisfatti. “Almeno qui non si affonda!„ — esclamavamo ogni momento. E poi era venuto il sereno, la mattinata era incantevole, passavamo sul bordo di prati pieni di fiori, costeggiavamo boschetti di betulle — le prime betulle — respiravamo a pieni polmoni la frescura odorosa della primavera, e non ci saziavamo mai di godere tutte queste cose così nuove. Le ore passavano senza noia. Dopo l’incidente del fango trovavamo tutto facile, tutto semplice; eravamo diventati pazienti. Se smarrivamo la strada e dovevamo orizzon-