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216 capitolo X.


Il capo buriato meditò qualche momento, poi rispose:

Si, accetto.

— Sta bene. Conduci qui i tuoi uomini e i tuoi cavalli.

Egli tornò alle teleghe e le fece avvicinare di alcune centinaia di metri a noi. Le donne ne discesero, cercarono del combustibile, accesero i fuochi. Ma i cavalli non furono staccati, e gli uomini non vennero. Noi ardevamo d’impazienza. Dopo una mezz’ora il capo ritornò, solo.

— Ebbene? gli chiese il Principe — Che fai? Quando ti metti al lavoro?

Il buriato non dimostrava alcuna premura. Domandò:

— Sei pronto a darmi cinquanta rubli?

— Tu porta questo carro fuori di qui, e io ti do cinquanta rubli.

L’uomo se ne riandò fra la sua gente. I cavalli continuarono a rimanere attaccati alle teleghe, e gli uomini a stare vicini ai carri. Questo contegno cominciava ad essere strano.

Intanto dei mongoli arrivavano al galoppo dei loro piccoli cavalli. Scendevano chi sa da dove. Il loro occhio da avvoltoio aveva scorto da lontano un insolito oggetto nella pianura, e venivano a vedere. Ci trovammo presto circondati da una fiera moltitudine che osservava discutendo. Il buriato, incuriosito forse da quel movimento, si avvicinò per la terza volta, sempre solo. Borghese gli domandò ancora:

— Quando ti metti al lavoro? Hai chiesto cinquanta rubli, e ti do cinquanta rubli, ma sbrigati. Conduci qui i tuoi uomini.

Il capo tribù scosse la testa.

— Non vuoi più? — gli chiese il Principe.

— No.

— E perchè?

— Non si può. È impossibile.

E si allontanò.

Perchè non tentava? O perchè, riconosciuto che l’impresa era impossibile, non se ne andava via con le sue teleghe, invece