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438 capitolo xx.


dei più grandi traffici del mondo: unisce la Persia, il Caucaso, il Turkestan al centro della Russia. Le genti più varie si agitavano sulla riva, fra le stazioni d’imbarco, tutte di legno, dominate da un marinaresco sventolio di bandiere e di segnali: si vedevano tartari, armeni, circassi, kirghisi, in mezzo alla moltitudine di contadini russi. Partivano battelli per Nishnii-Nowgorod.

Imbarcammo sopra uno dei ferry-boat che fanno la spola da una riva all’altra. Non traversavamo il Volga come gli altri fiumi sopra un pontone, o una barca, o una zattera; era un vero e proprio piroscafo che ci portava; e ci pareva grandioso come un transatlantico. Dei cosacchi ammucchiati a prua, fra teleghe e cavalli, suonavano le balalaike — quelle strane mandòle triangolari che gli slavi hanno portato fino alle sponde dell’Adriatico — e cantavano.

In pochi minuti fummo sulla riva destra, disseminata di ville, collinosa e verde. E partimmo veloci, ascendendo fra i colli dai quali ammiravamo l’indimenticabile spettacolo di Kazan tutta bianca, che levava in alto le scintillanti cupole della cattedrale dell’Annunciazione, la prima chiesa sorta sulle rovine della dominazione musulmana. Vicino a quelle cupole, vedevamo — singolare contrasto di forme e di ricordi — la vecchia, oscura, alta torre tartara detta Siumbeka, che prende il nome dal nome d’una principessa tartara la quale, secondo una poetica leggenda, salì sulla sua cima mentre la città assediata cedeva agli assalti degli slavi vittoriosi, e si precipitò nel vuoto per morire insieme alla patria. Nella bassa Kazan, ancora tutta tartara, dalle case piccole inframezzate di giardini, sorgevano minareti. E vicino al fiume un panorama strano di edifici rotondi: erano colossali serbatoi di petrolio che le navi portano da Baku, risalendo il Volga. Kazan è uno dei più grandi depositi di petrolio del mondo. Poi tutto si allontanò, si dissipò, sparì dietro alla vetta d’un colle. Ed eccoci di nuovo nella solitudine della campagna.

Scendemmo al sud per qualche tempo, fino ad un bivio: a sinistra la strada per Saratow, a destra quella per Mosca. E riprendemmo il cammino dell’occidente. Correvamo per sentieri ab-