Pagina:Barzini - La metà del mondo vista da un'automobile, Milano, Hoepli, 1908.djvu/520

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458 capitolo xx.


Lo spettacolo fantastico di questo veloce corteo mi richiama alla mente un altro corteggio: quello che seguiva la nostra automobile, recante il governatore cinese della Mongolia, per le strade di Urga. Ripenso a quella furibonda cavalcata di fieri mongoli, dalle vesti variopinte ed i cappelli a cono, la quale ci diede l’idea che l’automobile fosse inseguita ferocemente da tutta la barbarie asiatica. Ma qui, adesso, sembriamo noi i barbari, sporchi come siamo di polvere, di fango, sopra un carro rosso, opaco, del colore della terra, bruttato di mota, carico di cordami vecchi, di catene, di pale rugginose; mentre dietro a noi brillano metalli forbiti, lucide vernici di automobili aristocratiche, sulle quali fremono al vento eleganti toilettes estive, con la loro freschezza di piume, di fiori, di veli, di nastri.

Improvvisamente si apre all’orizzonte la visone di Mosca.

È uno scintillìo di cupole d’oro sopra una bianca, diafana distesa di edifici. È un’apparizione imponente. Un sogno.

Arriviamo ai sobborghi pieni di opifici, irti di ciminiere alte, fumanti; sobborghi nuovi, rumorosi di lavoro, che cingono la solenne quiete antica dei santuari.

Che cosa avviene? Una gran folla invade la strada. Sono tutti operai che accorrono dalle fabbriche, a centinaia, a migliaia, donne e uomini. Le finestre sono gremite. Dalla ferrovia suburbana, che attraversiamo, vengono pure squadre di lavoratori, correndo. Che cosa avviene?

Ma quando siamo vicini comprendiamo. Un urlo formidabile ci accoglie. È il saluto del popolo, gridato dalla voce terribile della moltitudine. Il saluto si rinnova e si propaga, ci segue, ci fiancheggia. Noi non abbiamo la coscienza di meritarlo, ma nel nostro animo penetra impetuosa l’onda di questa simpatia. Udiamo gridare in italiano: “Viva l’Italia!„. Scrosciano battimani. Dalle imperiali dei trams, i passeggieri in piedi alzano i berretti. I cocchieri, i tramvieri, i gendarmi stessi ci salutano.

Borghese non può esimersi dal rispondere col gesto della mano, mentre mormora tutto meravigliato: