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su tutta la linea, avanzavano a sbalzi, avevano lunghi minuti di immobilità. Fermandosi, la loro linea si faceva più densa, diventava come una siepe sottile e granulata, si confondeva alle ombre dei ripieghi del suolo, prendeva la forma delle arginature e dei ciglioni nei quali cercava protezione. Avanti a lei delle folte nubi bianche indicavano lo scoppio degli esplosivi c delle bombe incendiarie destinate a bruciare le armature dei «cavalli di Frisia».

Erano quegli stessi soldati che alla mattina sfilavano uno per uno avanti al buffonesco «Grand Hotel» dei baraccamenti. Pareva di conoscerli tutti per aver marciato un po’ con loro e averli sentiti ridere. La visione di quell’assalto era una cosa sublime e atroce; si sentiva profondamente, con dolore e con fervore, con un orgoglio pieno di passione, con una fierezza appenata, che era nostra carne fraterna che avanzava laggiù, ascendendo come in una truce apoteosi.

Il fuoco scrosciava assordante, e il martellamento delle mitragliatrici, serrato, regolare e meccanico, pareva più terribile della fucileria per quello che aveva di sistematico, di disciplinato, di impersonale, di fatale. Scoppii di granate e di bombe oscuravano tutto col loro fumo nerastro, e di quando in quando sui nembi, prese dal vortice, volavano delle mantelline aperte clic ricadevano lente con un aleg-

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