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introduzione lxxxvii

stato piuttosto foggiato dal suo editore nella dedica. Ma più tardi il titolo: Pentamerone, più breve, più comodo, prevalse.

Lo Scarano continua ancora coll’assicurare il Pinelli «che non è mica (intendi: non è poco) faticoso il comporre simili cose, e che habbiano da dilettare e piacere; appagandomi sommamente quella sentenza, che nelle sue epistole riferisce Pico, quel grand’huomo Mirandolano, dicendo che: jocularia et fabellas describere erudite, acrioris ingenii est quam de gravissimis rebus vel ornate disserere. Operiosus enim est ex limo, quam ex aere vel auro decoram effingere statuam».

Passa poi a dire il perchè della dedica a lui: «Si devono indirizzare a V. E. l’opere del detto signor Cavaliere, il quale, mentre visse, era suo fedelissimo amico, e credo certo che, s’egli fosse sopravivuto fin’hoggi, quello c’ ho fatto io, avrebbe fatto egli». E conchiude che «forse, prendendo animo, manderà appresso in luce l’altre giornate che seguono» 1.

L’opera, venuta così a luce postuma, non era ancora del tutto pronta per la stampa: le negligenze di forma che vi si ritrovano, e alcune strane inavvertenze sono di ciò bastevole indizio2.



  1. Ded. di Napoli li 3 di gennaio 1634.
  2. Basti osservare, fra l’altro, che il T. II della G. II è intitolato Verde Prato, senza che di questo nome si dia ragione nel corso della | narrazione; che il Pippo del T. IV della G. II è a un bel punto chiamato e continuato a chiamare Cagliuso; e che l’eroe del T. VII è chiamato, nella stessa novella, ora Nardeaniello, ora Antoniello, ora Mase Aniello. E molti altri simili esempii.