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CAPITOLO DICIOTTESIMO




Dopo che le signore si furono ritirate nella loro camera, rimasi alzato ancora un poco, e m’intrattenni col dottor Leete sulla disposizione della libertà dal servizio, dopo i 45 anni. M’interessava di sapere quale potesse essere l’occupazione dei cittadini, non avendo più obblighi con la nazione. «A quarantacinque anni,» dissi, «un uomo ha la forza per dieci anni ancora di lavoro materiale, e per dieci altri anni di lavoro intellettuale. Per gli uomini energici, mi pare che l’essere collocati a riposo, dovrebbe sembrare loro più che altro uno sfavore».

«Mio caro signor West,» disse raggiante il dottor Leete, «non vi potete immaginare quante attrattive abbiano per noi le vostre idee del secolo decimonono, e come siano strane le vostre impressioni. Sappiate che il lavoro che dobbiamo fare per assicurare alla nazione i mezzi d’una comoda esistenza fisica, non è considerato come l’uso più importante, più interessante e più dignitoso delle nostre forze; noi riguardiamo il lavoro come un dovere necessario, che adempiamo prima di dedicare e rivolgere completamente le nostre capacità all’occupazione sana e ragionata, che costituisce veramente la vita.

Mediante una giusta divisione delle fatiche e i diversi incitamenti, s’è fatto il possibile per render piacevole il lavoro, e, relativamente parlando, esso non è faticoso, anzi è soventi attraente; ma lo scopo principale del nostro essere, non è nel nostro lavoro, sibbene nella maggiore attività che mettiamo in opera a compito finito.

Naturalmente non hanno tutti, neppure la maggioranza, queste inclinazioni scientifiche, artistiche e letterarie che rendono l’ozio pregevole. Molti vedono, nella seconda metà della loro vita, un’epoca di piaceri d’altro genere, come viaggi, allegre riunioni d’amici; un’epoca di cure d’ogni sorta, di particolarità personali e di gusti speciali; vedono il proseguimento del piacere in tutte