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I VISCONTI — Per me — grida — fra poco una sol fia questa per mille parteggiante Italia; sorgi, o pigra, e del tuo nome e del tuo ferro t’arma; prorompi ai tuoi confini, né violate l’ Alpi andran per Dio ! — Borioso mortai ! L’angelo bruno al magnanimo voi tarpa le penne; e te, i tuoi voti ed i siíperbi affanni alla bara consegna, a cui né un raggio versa del suo folgor per adornarla quel che giá le speranze, ahi, mal presaghe ingemmato t’avean serto regale. Mesci i negri destin, mesci, o sorella. Fosca è l’alba, né belva alla foresta, né alcuna l’annunziò voce d’augello, e non erba e non fior dall’egro stelo al diffuso mattino erge la fronte. Romito il Lambro per la valle intanto la scarsa onda strascina, e tinto in rosso del tigre accusa i giovanetti artigli e la rabbia nefanda. Ahi ! che una madre spirava; e il figlio, il figlio suo medesmo fu che l’uccise. Misera! Né il bianco crin venerando valse a sua difesa, né le valse nudar le impresse al seno orme del labbro, quando fra i vagiti immeritata ei ne suggea la vita. Gustato ha il primo sangue. Oh quanta sete dopo l’orrida beva! A saziarla suscita il pazzo i suoi rabidi veltri, e raccomanda al lor dente digiuno gli odii e le furie sue. Né la diurna strage lo placa. Per le mute vie gode i latrati affaticarne, e ’l corso dietro al volgo fuggiasco; e di sbranate genti ignote col piè calca i singulti nelle tenebre avvolto. Indi, cosparso d’ignoto sangue, la nascente aurora fra il lezzo evita dei canili, e ride, giá nel cor le future ombre anelando.