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ABORE E SIGNILDA Farti appender minaccia mio padre alla rama doman di buon ora, alla rama del rover piú alto, doman prima che il sol torni fuora. — E a lei tosto il re giovane Abore dispettito a risponder si fe’: — No, per Dio! non mi curo, non voglio che abbian donne a interceder per me. Bensí tu, mia Signilda, m’ascolta; fa’ d’amore una buona mostranza: visto me spenzolar lá alla strada, tu ti lascia bruciar qui alla stanza. — E la nobil Signilda a lui dice, per quant’alto sia il duol che la fiede: — Oh! mai si ch’io di compierti il voto, mio re giovane Abor, ti do fede. — Dal castello il re giovane Abore accompagnan giú molti alla strada; ognun piange che il vede, ad ognuno sa pur mal di pensare ov’ei vada! Giunti fuora nel verde spianato dove Abor avea a perder la vita, ei, che a prova vuol metter l’amore, prega indugingli un po’ la finita. — Lassú alzate la cappa mia rossa, prima penzol far essa veggiamo: e’ potria pur dolere a re Svardo che foss’ io l’ impiccato a quel ramo. — Che dolor per la nobil Signilda, quando agli occhi la cappa le die’ ! — Ahi ! — pensò — il mal annunzio non falla oramai piú da viver non è. — Tosto aduna le sue damigelle e col cuore che par le si squarci: — Andiam — disse — su all’alte mie stanze, troviam cosa che valga a svagarci. —