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136 LA TESTA DELLA VIPERA

— Vieni, vieni, susurrò Battista trascinando seco la Lisa, caricatosi dei due fardelli. Ti spiegherò poi.

— No, gridò la ragazza, voglio saperlo.

Battista pensò di gettar via i fardelli, di prendere alla vita la giovane e portarla di peso fino al luogo dove si sarebbe trovato il biroccino, ma preferì pigliarla colle buone.

— Tu ci vuoi rovinare... Ti dirò tutto, ma vieni presto... Una parola di troppo, e tutto è perduto. Io sarò obbligato a fuggire e piantarti qui.

Questa minaccia ridusse la Lisa cedevole. Correndo giunsero al legnetto che aspettava; Battista vi cacciò dentro Lisa, pose una moneta in mano al garzoncello che teneva il cavallo, balzò presso la fanciulla, prese le redini, frustò il cavallo e via di galoppo.

Emilio con un sogghigno mefistofelico stringeva in pugno la chiave ricevuta da Battista, ed esclamava seco stesso:

— La tengo in pugno la mia vendetta, e il ripago di ogni mio tormento.

Guardò l’orologio.

— Appena le undici e un quarto!... Come passa lento il tempo!... A mezzanotte — fece un ghigno — l’ora dei delitti... e degli spettri... A mezzanotte varcherò quella soglia!

Quei quarti d’ora gli parvero eterni; eppure quando udì dal lontano campanile del villaggio battere lentamente dodici rintocchi, si riscosse come assalito da un subito terrore, guardò il