Pagina:Bianca Laura Saibante - Discorsi, e lettere, Venezia 1781.djvu/77

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Qual su le treccie biònde,
Ch’oro forbito, e perle
Eran quel dì a vederle:
Qual si posava in terra, e qual su l’onde:
Qual con un vago errare
Girando parea dir: Qui regna Amore.

Dunque voi ed io ci orneremo sobriamente il capo anche in memoria della Petrarchesca Diva. Che dolcezza mi serpe per entro all’anima! quasi non saprei proseguire: mi scordo il Petrarca, e ritorno a noi. L’origine dell’usanza di cinger di fiori le tempie, di sparger di fiori le vesti, e le mense, io la desumerei dall’imitazione della natura, la quale fu poi propagata e diversificata dalla donnesca ingegnosa vanità. Al leggiadro filosofante Monsignor di Firenzuola risponderei, se osassi, in brevi accenti, ch’io crederei nella sua teoria, se ad essa rispondesse fedelmente la pratica, e se fossero ferme le donne nell’assettarsi sempre quei fiori, e sempre in quel modo, in cui parve ad esse, assicurate dall’occhio, che più loro adornavano il viso: ma come cangiano sempre forma e colore, è giuocoforza asserire, che, poco curando le regole del Firenzuola, si lascino esse talora governare dai sensi, talora dall’opinione. Io amo d’attribuire tutti i cangiamenti alla bella varietà, che tanto in ogni cosa piace e diletta, e ci rende gradito qualunque oggetto, e ci fa imitatrici fedeli della natura, che varia e cangiasi ad ogni volger di ciglio. Quindi, Amica, non siate, ve ne scongiuro, costante nel riporvi sulla destra tempia il


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