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Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.1, Zurigo, 1846.djvu/243

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capo xii. 235

si disprezzano e per cui s’incorre nella scomunica. Il Gerson decide essere semplicità ed ignoranza, oppure malizia da Fariseo riputare che il papa sia un Dio, e che abbia ogni potestà in cielo ed in terra; che non è disprezzo l’opposizione fatta a lui quando abusa notoriamente della sua potestà; che in tali casi il disprezzo delle chiavi è dalla parte sua e le scomuniche sono violenze contro cui la legge naturale insegna di resistere; e che talvolta il sopportarle sarebbe una pazienza da asino, e un timore da lepre e da sciocco. L’altro è un esame, se la sentenza del pastore, eziandio ingiusta, sia da temersi. Questa proposizione che è decisa affermativamente da San Gregorio papa, viene impugnata dal teologo parigino che la chiama erronea nella fede e nei costumi, e mostra quanto sia contraria alla ragione, incompatibile colla giustizia e sovversiva di ogni diritto naturale o pubblico, secondo i quali, dic’egli, l’iniquità tirannica si può temere, ma non si dee osservare; anzi si dee disprezzare e perseguitare.

Queste due brevissime scritture, piene di sodezza e di pietà e così opportune che parevano scritte di bel proposito per l’occasione corrente, furono stampate in Venezia ma senza nome di luogo e di stampatore, e il traduttore nella prefazione si finse uomo di Parigi, il che non bastò a coprirlo.

Ed altro opuscoletto apparve senza nome di autore e di stampatore o data di luogo, ed era una lettera ai curati del dominio veneto, col titolo: Risposta d’un dottore in teologia ad una lettera scrittagli da un reverendo suo amico sopra il Breve di censure della santità di Paolo V pubblicate contro