Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.2, Zurigo, 1847.djvu/207

Da Wikisource.

capo xxii. 199

anco la guerra non era mezzo buono a rigenerare un popolo che oppressato da lunghe sventure e da tante e così diverse tirannidi aveva perduto fino la memoria della sua dignità; e che per risvegliarlo aveva bisogno di una scossa potente, che gl’infondesse nuovi pensieri e ne occupasse tutte le facoltà: ciò non poteva essere che un mutamento di religione, viene a dire, secondo che la intendeva Frà Paolo, un rovescio violento del materialismo romano. La qual cosa egli vedendo poco possibile, pieno di nobile sdegno sfogava il suo dispetto in una lettera degli 14 aprile 1617. «Sarebbe ben cieco, scriveva, chi non vedesse il giogo imminente sopra il collo d’Italia; ma la fatalità guida chi vuole, costringe chi ripugna; e con numero di superstiziosi è un maggiore di viziosi che amano meglio servir in ozio che faticar in libertà. Non manca anco qualche contaminazione di Diacatholicon (la politica della Spagna): questo terzo è irremediabile; per il secondo ci vorrebbe una buona stoccata che risvegliasse; al primo non c’è rimedio. Sono doi anni che la guerra è in Piemonte, ed uno in Friuli, e non è fatto minimo colpo contra la superstizione; e se bene sono venuti tremila Olandesi, non si spera come si credeva che la guerra fosse mezzo d’introdur la verità. Veggo che non è. Così conviene aspettare il tempo del beneplacito divino; il quale se non apre qualche mezzo che dia ingresso a far bene, ogni cosa pare inviata a stabilire due monarchie, una sopra i corpi e l’altra sopra l’anime».