Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.2, Zurigo, 1847.djvu/88

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80 capo xix.

mano di Dio parata a percuotere la testa del grand’empio. Contavano ad ogni corriero di udir notizia della sua morte; il papa istesso non dissimulava la sua gioia, come se ai papi e ai loro cortegiani abbia San Pietro concesso il privilegio di non morir mai; o che la specie del morire, o una vita più lunga o più breve siano argomenti di virtù o di vizio. I fanatici hanno di strani pregiudizi per la testa, e non è il meno pernicioso il credere che Dio provi in sè le passioni medesime di loro. Mortificati dalla fortuna rispetto a Frà Paolo, si confortarono per la morte del doge Leonardo Donato: colpito da apoplessìa la mattina del 16 luglio intanto che tornava dal Collegio, rese lo spirito in età grave di 77 anni. Uomo pio, egregio, di bella fama, di molta consumatezza negli affari, lasciò dolore nel Sarpi che in lui perdeva un amico, lutto in Venezia, gioia in Roma. I gesuiti attribuirono quella morte a giudicio di Dio, quasi gran miracolo in uomo ottuagenario. «Se ne allegrano, scriveva Frà Paolo, ma indarno. Vedranno a loro sconforto che non lui solo, ma la parte migliore dei patrizi conosce le arti gesuitiche. Finora hanno niente guadagnato, e niente guadagneranno per l’avvenire, spero». Al Donato successe nella dignità ducale Marc’Antonio Memmo.