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XXIII

PERCHÉ DANTE COMPOSE LA «COMMEDIA» IN VOLGARE

A CHI EGLI LA DEDICO Muovon molti, e intra essi alcun savi uomini, una quistion cosí fatta: che, conciofossecosaché Dante fosse in iscienza solennissimo uomo, perché a comporre cosí grande opera e di si alta materia, come la sua Comedia appare, si mosse piú tosto a scrivere in rittimi e nel fiorentino idioma che in versi, come gli altri poeti giá fecero. /;.lla quale si può cosí rispondere. Aveva Dante la sua opera cominciata per versi in questa guisa: Ultima regna canam, fluido contermina mundo, spiritibus quae lata patent, quae praemia solvunt prò meritis cuicumque suis, ecc.

Ma, veggendo egli li liberali studi del tutto essere abbandonati, e massimamente da’ prencipi, a’ quali si soleano le poetiche opere intitolare, e che soleano essere promotori di quelle; e, oltre a ciò, veggendo le divine opere di Virgilio e quelle degli altri solenni poeti venute in non calere e quasi rifiutate da tutti, estimando non dover meglio avvenir della sua, mutò consiglio e prese partito di farla corrispondente, quanto alla prima apparenza, agl’ingegni dei prencipi odierni; e, lasciati starei versi, ne’ rittimi la fece che noi veggiamo. Di che segui un bene, che de’ versi non sarebbe seguito: che, senza tór via lo esercitare degl’ingegni de’ letterati, egli a’ non letterati diede alcuna cagion di studiare, e a sé acquistò in brevissimo tempo grandissima fama, e maravigliosamente onorò il fiorentino idioma. Questo libro della Comedia, secondo che ragionano alcuni, intitolò egli a tre solennissimi italiani: la prima parte di quello, cioè lo ’Nferno, ad Uguiccion della Faggiuola, il quale allora in Toscana era signor di Pisa; la seconda, cioè il Purgatorio, al marchese Moruello Malespina; la terza, cioè il Paradiso, a