Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. III, 1918 – BEIC 1759627.djvu/152

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[È il vero, che che a’ poeti gentili giá conceduto si fosse, non pare che la religion cristiana permetta ad alcun poeta cristiano, né in sua persona, né in altrui, raccontare o far raccontare assertive alcuna erronea cosa, e che contraria sia alla cattolica veritá; e però non par qui assai essere scusato l’autore per aver fatto ad uno spirito dannato raccontar questo errore.] [Ma a questo si può cosi rispondere, accioché si conosca l’autore in questo non avere errato: dobbiamo adunque sapere esser due maniere di pena, nelle quali, o nell’una delle quali, ia giustizia di Dio condanna coloro che male hanno adoperato; e chiamasi 1’una delle maniere di queste pene «pena illativa», e l’altra «pena privativa». La pena illativa si pone nella propria persona di colui che ha peccato, si come è tagliargli alcun membro, o farlo d’alcuna spezie di morte morire; la pena privativa è quella la quale s’impone nelle cose esteriori di colui il quale ha peccato, si come nelle sue sustanze, negli onori, negli stati, nella cittadinanza, privandolo d’alcuna di queste, o di parte d’alcuna, o di tutte. E però si può dir qui: percioché le leggi temporali non hanno in alcuna cosa potuto punire quegli che se medesimi uccidono, percioché il corpo morto non può ricever pena; e, quantunque esse vogliano che i corpi cosi uccisi sieno gittati a divorare alle fiere, questa non è pena all’ucciso, ma è vergogna a chi di lui rimane; e, se vogliam dire egli è infamia al nome dell’ucciso, questa infamia perisce sotto l’occupazione di maggiore infamia, peroché molto maggiore infamia è Tessersi ucciso che non è Tessere poi gittato via a guisa d’un cane; oltre a ciò, le leggi temporali non possono nelle sue cose punirlo, percioché chi sp medesimo priva della vita, si priva d’ogni altra sua cosa, si che, perché le leggi facessero ogni suo bene occupare, a lui non monta niente; e deesi credere che chi di se medesimo non s’è curato, non si curi d’alcuna altra sua cosa, e quella non si può dirittamente dir pena, la quale non affligge colui al quale è imposta; e, volendo la divina giustizia che impunito non rimanga cosi grande eccesso, quello, che non può far la temporale, si dee credere che essa supplisce, e vuole che in questi cotali sia la pena