Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. III, 1918 – BEIC 1759627.djvu/288

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dovrá pur consentire che un falsario consapevole non poteva far dire al Boccaccio di non essere ancor nato l’anno della peste, ovvero di non essersi trovato in Firenze, in contrasto con la replicata affermazione del Decameron di aver visto «con i suoi occhi» quel che vi avvenne in quell’anno (*). Tal prova par che basti a scagionare maestro Grazia, o chi altri sia, dall’accusa di aver falsato il Boccaccio per trarre in inganno il lettore ( 2 ). Costui, anche se nato dopo l’anno della peste ( 3 ), poteva essere un uomo maturo sulla fine del ’300 e i primi del ’400, cioè subito dopo Filippo Villani e l’Anonimo, quando è presumibile che al manoscritto del Boccaccio toccasse la non lieta sorte di un revisore e rifacitore.

Il manoscritto, ch’egli lasciò, sarebbe da ravvisare in quello che Lorenzo Ubaldini (4) dice che «era giá in potere di Lorenzo Guidetti mentovato nel suo poema dalPAriosto», e ch’egli qualifica per l’originale del Boccaccio. Giacché, se il Riccardiano 1053, che porta lo stemma dei Gherardi, è parte della copia del ms. Guidetti, che l’Ubaldini stesso dice posseduta da un altro fiorentino, Lottieri Gherardi, e questa copia dá il testo integrato, se ne deve concludere che il ms. Guidetti, insieme con l’autografo del Boccaccio, conteneva l’autografo di maestro Grazia, e cioè che tutto il lavorio dell’integratore venne fatto direttamente sull’originale boccaccesco. In tal caso il codice riccardiano, come gli altri tre codici fiorentini, sarebbero tutti apografi dell’originale boccaccesco e del suo rifacitore allo stesso tempo. L’esame ch’io ne ho fatto non esclude questa conclusione, (1) In corrispondenza del passo sopra citato (singolarmente notevole per la questione di cronologia boccaccesca che vi è stata riconnessa), i codd. R (c. 19 r.) e M 1 (p. 232), oltre a riportare a margine alcuni versi del IV della Georgica (219227), recano, pure a margine, questo appunto o traccia, che nel testo non ha avuto sviluppo conforme: «Estimò Platone essere in ciascuna anima di qualunque animale alcuna parte di divina mente, il che appare nell’api—nelle formiche — nel cavallo d’Alessandro — ne’ leofanti — ne’ leoni — negli uomini». Il materiale delle pagine di cui fa parte il tratto sulla peste di Firenze è desunto dal De casibus (g De Asiiage, § Pauca de somniis). (2) Un altro ricordo personale del frate par quello del voi. III, 226 sg., circa il monastero di San Benedetto dell’Alpe. La medesima spiegazione, obbiettivamente esposta, si legge in Benvenuto da Imola. (3) Una annotazione di A. M. Salvini nel cod. R, in corrispondenza all’anna della peste, dice: «questo commentatore fiori dopo la peste del 1348». (4) Citato dal De Batines.