Pagina:Boccaccio, Giovanni – Opere latine minori, 1924 – BEIC 1767789.djvu/308

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302 nota

tardi limò; ed è legittimo supporre che secondo tale redazione i versi siano stati originariamente trasmessi a Padova, poiché M è appunto un apografo d’origine padovana e fu scritto molto facilmente prima del 13891.

Invece O, di penna fiorentina, si può ritenere esemplato su una copia serbata dal poeta presso di sé, e nei margini della quale, con assiduitá pari a quella di cui scorgemmo le vestigia in un altro originale, il ms. R del Bucc. carmen, egli sarebbe andato, ulteriormente esercitando la sua opera di censore nel campo della quantitá delle sillabe. Vediamo infatti: nel testo di O, vv. 31 e 54, alle lezioni iam debiles e lacte nutrisse rispondono in margine le note alias fragiles e alias cibasse; ed osserviamo che dēbiles e nūtrisse sono incompatibili nelle due sedi finali del dattilo, mentre frăgiles e cĭbasse sono corretti. Che vorrá dunque dir ciò? Che il Bocc. nella prima redazione lasciò passare le forme errate (le quali sono anche in M), le accolse poi nella seconda redazione, e solo piú tardi, col mezzo del richiamo marginale, le surrogò2.

Debbo da ultimo avvertire di quattro correzioni da me introdotte nel testo. In luogo di concentum 60, O reca concentrum ed M invece conceptum: l’emendamento non par dubbio. OM leggono orchesta per orchestra 122. Il v. 153 presenta in O uno sbaglio di prosodia che non possiamo accettare come boccaccesco, poiché, leggendo pande precor aperique tuis, darebbe a precor la finale lunga (cfr. invece il secondo precor del v. 26); d’altra parte, M s’è mangiato un piede (pande tuis aperi); la lezione genuina verrá dallo scambiar di posto tuis e precor, che concilia insieme M con O. Finalmente ac letos 171 fu scritto in O da principio alectos, e poi la c fu espunta e non ricollocata al suo luogo; qui il confronto con M vien meno, visto che il verso è uno dei due che mancano a quel ms., ma la correzione è sicura egualmente.



  1. Si può credere infatti di mano del medico Giovanni Dondi dall’Orologio, amico e corrispondente del Petrarca, morto in quell’anno (cfr. Giorn. Dant. cit., p. 42 e n. 5).
  2. Gli arbitri marchiani del testo Rossetti, hisăpnus 155 e fĕlix 156, non furono mai da imputare al Bocc.: il primo è un errore di lettura dell’editore (M ha hesperus come O), il secondo un lapsus calami del menante di M. Non eliminabili restano il solo sŭplicanter 111 (cfr. p. 301, n. 3) ed un esametro di sette piedi al v. 51 (toto fu tralasciato dal Rossetti, ma l’accordo OM ed il senso consigliano di non toccarlo).