Pagina:Boccaccio, Giovanni – Opere latine minori, 1924 – BEIC 1767789.djvu/373

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nota 367


Poiché il piú recente degli scritti sui quali queste righe si fondano, ed ai quali esse costituiscono una specie di proemio, è del 18 gennaio 1347, si avrá in conseguenza che il notamento è posteriore a tale data; il De vita, necessariamente posteriore al notamento e composto durante una dimora del Petrarca a Parma (cfr. p. 241), sará dunque del 1348 o del ’491. A dar compiuta la storia dei preziosi cenni2 va ricordato infine che il De vita capitò sulla fine del Trecento tra le mani dell’agostiniano fra Pietro da Castelletto, il quale, vedendola incompiuta e mancante, e troppo presumendo di sé, credè di poterla integrare e nello stesso tempo correggere3: in realtá, non fece che riprodurla quasi assolutamente alla lettera, valendosi con ogni verisimiglianza del medesimo apografo marciano che unico è giunto sino a noi.



    totam Tusciam et potissime in Florentia anno Christi MCCCXL inditione VII. Nel notamento ho modificato le grafie aprobatus, mangnifico e quemdam: per l’m di questa parola si veda subito appresso quorundam, che a sua volta è mia correzione di quarundam (il Bocc. aveva forse dimenticato di riferirsi ad «opuscula»). Una svista grafica è invece Montem Phesulanum (cfr. 2393); finalmente al posto di coronatur il Bocc. scrisse coronavit, senza pensare che l’impostazione sintattica «a magnifico milite domino Urso...» chiamava ormai il passivo. Nel De vita il coronavit rimase (24112), ma il compl. di agente fu mutato in soggetto.

  1. Cfr. Hauvette, Notes cit., pp. 119-20 (e Boccace, p. 198 e n. 3); la data 1348 o 49 fu anche accolta dal Gaspary e dal suo traduttore V. Rossi (Storia della lett. it., II, i2, pp. 29, 330; Giorn. stor., XXXII, p. 434). Non consento col Foresti, per il quale il De vita sarebbe posteriore all’incontro del Petrarca col Bocc. nel settembre 1350 (Giorn. stor., LXXIV, p. 258, n. 1).
  2. Basta aggiungere qui in nota come l’Hortis (Studij, p. 317, n. 1) dicesse che il notamento di ZL «non può essere» del Bocc.; e di fresco il Guerri, che nella sua critica iconoclastica metteva in dubbio l’autografia di quel ms., trovasse appena un «debole» argomento per riconoscere al Nostro l’«infelicissima» biografia piú ampia (cfr. Il Commento cit., p. 138, n.).
  3. La presunzione trasparisce giá dal titolo: Francisci Petrarche de Florentia laureati incipit vita ab excellenti eius discipulo Iohanne Boccaccio de Certaldo inchoata ac post eius obitum perfecta et correcta a magistro Petro de Castelletto ordinis Heremitarum Sancti Augustini, qui dicti oratoris atque poete mores atque gesta ex longa eius familiaritate cognovit. Lo scritto, da un cod. di Vratislava, fu stampato dal Rossetti (op. cit., pp. 339-50), e poi ripubblicato dal Solerti, Le vite cit., p. 265 sgg.; il primo editore restò incerto se quelle parole «oratoris atque poete», ed altre analoghe del breve preambolo, siano da riferire al Petr. o al Bocc. (cfr. la n. 44 a p. 377), ma conchiuse poi rettamente riconoscendo che il bravo frate intese di vantare la sua lunga famigliaritá col Petrarca. Su Pietro nulla seppe trovare il Rossetti (p. 375, n. 41); il Solerti avvertí ch’egli recitò l’orazione funebre per Gian Galeazzo Visconti nel 1402: potevano ricorrere entrambe all’Argelati (Biblioth. Scriptor. mediolan., I, coll. 340-1).