Pagina:Boccaccio-Caccia e Rime-(1914).djvu/24

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xvi Avvertenza

colta: sia che il poeta invochi la giustizia ‘al mondo freno’, come in una delle sue poesie intonate da musici ai servigi del canto (XCII), sia che lamenti la presente corruzione de’ tempi in vano rimpianto del passato (XCIII-XCVI); sia che, dal sermoneggiare trapassando alla preghiera, sveli nella pratica delle virtù morali e religiose, nell’ardente amor divino, nel culto ingenuo della Vergine il trasmutato ideale degli anni cadenti (CIX-CXIX). Ma prima della serie senile, nella succession delle rime per ordine largamente cronologico, trovan posto due gruppi che si rifanno alla piena maturità degli anni, dai trenta circa ai quaranta, e documentano altri aspetti della vita boccaccesca: i viaggi, le dotte amicizie, lo spiacevole gabbo della vedova mal corteggiata. Al viaggio in Romagna nel 1347 e 1348 si riferisce un difficile sonetto responsivo (LXXIX) ad uno di quel Cecco figlio di Meletto de’ Rossi, forlivese e segretario, per allora, del bollente Francesco degli Ordelaffi: questi, con cui il Boccacci scambiava proprio nello stesso tempo alcuni noti carmi bucolici in latino, avea diretto una poetica circolare a vari rimatori intorno la minacciosa avanzata della morìa dall’oriente verso occidente e gli straordinari segni celesti che inasprivano la paura. Risposero il Petrarca, maestro Antonio da Ferrara e il valoroso milite messer Lancillotto Anguissola, oltre che il nostro poeta; a lui, più vicino e concorde, replicò il Rossi in un ultimo sonetto. Altre tenzoni gli posero a fronte, su argomenti convenzionali ed astratti, un Riccio barbiere, non sappiam di dove (LXXVIII), e il sollazzevole popolan fiorentino Antonio Pucci (LXXXI). Sollazzevole non meno, a’ danni del poeta, fu l’impronta vedova ch’egli, rinsavito, così acerbamente ripagò nel Corbaccio.