Caccia e Rime (Boccaccio)/Rime/LXXIX

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LXXIX. L’antiquo padre, il cui primo delicto

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Rime - LXXVIII Rime - LXXX
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SONETTO DI SER CECCO DI MELETTO DE’ ROSSI DA FORLÌ MANDATO A MESSER FRANCESCO PETRARCA, A MESSER LANCILLOTTO ANGUISSOLA, A MAESTRO ANTONIO DA FERRARA E A MESSER GIOVANNI BOCCACCI1.


Voglia il ciel, voglia pur seguir l’edicto
     Che imposto fu da prima a li ampi giri2,
     Et rote intorno l’orbe con quei spiri3
     Che giungon li elementi e ’l centro inscripto4:
     Ch’è5 per servar quello antico rescripto,5

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     O che l’armata man ver noi s’adiri
     Di Giove fulminando, o qual s’amiri
     Di tenebre lunare el sol traficto6.
Non è alcun che si cuopra a le saette
     Avelenate che ’l bel viver fura7,10
     Sì che l’uman valor fra i bruti mette;
     Et radi son, che con la mente pura
     Conosca il suo factore8 o sue vendette:
     Ma lui non val parlar con lingua scura9.
Le stelle erranti observan lor viaggio,15
     Né noi constringe a seguitar suo raggio10.


RISPOSTA DEL PETRARCA11.


Perché12 l’eterno moto sopradicto13
     Ciascun pianeto in sé rapido tiri,

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     Divis’in parte per li moti giri14,
     Sì come scrive il gran doctor d’Egipto15;
     Né per combustion d’alcun16, che victo5
     Sia dai raggi delli accesi ardiri
     Di Phebo17 che sostenne li martiri
     Da sua sorella opposta al corso dritto18:
Nessun sarà, se idioFonte/commento: editio maior non gliel permecte,
     Che attento et fiso guardi la figura10
     Del cielo adorno de le luci electe19;
     Nel qual si può notar quanto sicura
     Et ferma nostra vita star s’aspecte
     Nel fragil mondo opposto a sua natura.
Se l’intellecto humano è prode et saggio,15
     Corso di stella non può farli oltraggio20.


RISPOSTA DI MESSER LANCILLOTTO ANGUISSOLA21.


Alzi lo ’ngegno ogn’uom con quello amicto22
     Che aver conviensi ai valorosi viri,

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     Et l’un pianeto né23 l’altro martiri
     O nòi24 natura in quanto à dioFonte/commento: editio maior prescripto.
     El ciel sue leggi observi circumscripto25:5
     Non si dimostri tal che l’uom sospiri26,
     Non forse altra il certo ordin circumspiri
     L’ira di dioFonte/commento: editio maior27, come fe’ già in Egypto.
L’umane gregge28 dal temer constrecte,
     Non però di veder mente matura29,10
     Dal vitio con ragion tornan correcte,
     Però che par sol di virtù misura;
     Ma contra conscienza si commette,Fonte/commento: editio maior
     Et, riposato il ciel, sen va paura.
Così per entro uno scuro et un raggio15
     Ci porta arbitrio a pace et a dannaggio30.


RISPOSTA DI MAESTRO ANTONIO DA FERRARA31.


Il cielo e ’l firmamento suo sta dritto
     Et guarda le sue rote che nol giri

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     Fuori dei corsi naturali et viri32,
     Per observar quel che di lui è dicto33.
     Se il movimento suo fusse raficto34,5
     La luna e ’l sole et gli altri suoi zafiri35,
     Dove convien che l’universo miri,
     Darebbon passione al mondo afflicto.
L’umane genti son facte sì strecte,
     Che di virtù et cortesia non cura,10
     Et poco actende36 quel che gli impromecte.
     Offende il suo factore37 et sua figura
     Con gli altri bruti; et del mal che commette
     Però l’ecterna pena lor matura.
Le stelle son di sì alto legnaggio,15
     Che nostra colpa le fa fare omaggio38.

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LXXIX.

RISPOSTA DI MESSER GIOVANNI BOCCACCI39.


L’antiquo padre, il cui primo delicto
     Ne fu cagion di morte et di sospiri40,
     Pose assai poco modo ai suoi desiri,
     Essendo stato pur allor descripto41.
     Ma quel ritroso popul, che d’Egipto5
     Non senza affanno uscì dopo i martiri42,
     Bench’ei vedessi mille facti miri43,
     Rade volte seguì consiglio dritto.
Per che in noi, se de le cose electe44
     Più lontan siamo, seguitar misura10
     Del ciel men grava all’anime perfecte45.
     Et, benché spesso semplice paura
     Solare eclypse o squarciar nuvolette
     Faccia46, chi ’l sente poco se ne cura.
Quel che morì per trarne di servaggio4715
     Mercé n’avrà per lo cammin selvaggio.

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REPLICA DI SER CECCO DI MELETTO A MESSER GIOVANNI BOCCACCI.


Quando redire al nido48 fu disdicto
     A Giulio Cesar, perché fur deliri
     Gli padri col Senato et gli altri siri49,
     Volse prima mostrar l’amar conflicto
     El ciel perfidioso, stando picto5
     Di fiamme rogge et d’ardenti papiri
     Di terribil comete, e i color niri
     A la solar quadriga porse amicto50.
Similemente fe’ sua luce scura51
     Anzi che Bruto l’arme avesse strette10
     Contra il sangue cesareo et l’ampie mura52.
     Tuttor cascar si vede, con le vette
     De l’alte torri sparse a la pianura,
     Per terremoti o vive folgorette.
Dunque à ben pien di furia suo coraggio15
     Chi non paventa natural dannaggio53.


Note

  1. Questa tenzone fu composta negli ultimi mesi del 1347 o nei primissimi del ’48, essendo messer Giovanni in Forlì presso Francesco degli Ordelaffi, allora signore di quella città, il quale teneva a’ suoi stipendi (non sappiamo bene in quale mansione) il notaio Cecco di Meletto de’ Rossi. Di questo letterato forlivese, che intrattenne rapporti letterari col Petrarca, rimangono scarse notizie degli anni tra il 1347 e il 1360, due carmi bucolici e alcune epistole latine, tra cui una assai lunga diretta alla città di Forlì per esortarla a perseverare sotto la signoria della Chiesa dopo la caduta dell’Ordelaffi (1359).
  2. I nove cieli del sistema tolemaico.
  3. «Disposizioni.»
  4. «Che tengono uniti gli elementi e la terra (centro inscripto).»
  5. Il che si riattacca a ciel del v. 1.
  6. Ecco il senso dei vv. 5-8: «Il cielo si mostra sul punto di attenere quell’antica sentenza, o che Giove infierisca con le sue folgori contro di noi, o che il sole si scorga come trafitto di tenebre lunari (gli eclissi).»
  7. Si allude alla terribile epidemia che, nel tempo in cui fu scritto il sonetto, avanzava minacciosa dall’oriente verso l’Europa, ove infierì negli anni 1348 e 1349.
  8. Dio.
  9. «Con oscuri ammonimenti.»
  10. «Le stelle non ci costringono a seguire i loro influssi», che è a quanto dire: «le nostre colpe non sono imputabili ad influsso di stelle maligne, ma al nostro libero arbitrio.»
  11. Aveva abbandonato definitivamente la Provenza per l’Italia nel novembre del 1347. Il 25 gennaio 1348 era a Verona, quando gran parte d’Italia e di Germania fu scossa da un violento terremoto; poi andò a Parma, a Ferrara, a Padova nei mesi seguenti sino al maggio.
  12. «Per quanto.»
  13. Quello di cui parla il Rossi nei vv. 1-2 del suo sonetto, ossia la legge che regola il moto dei corpi celesti.
  14. «Ripartito (diviso in parte) tra i vari cieli (moti giri).»
  15. Tolomeo.
  16. «Né per quanto sia scottato alcun pianeta.»
  17. Il sole.
  18. Dalla luna in opposizione al corso del sole. Il senso di tutta la quartina è: «per quanto si vedano eclissi di sole.»
  19. «Nessuno, senza privilegio divino, potrà leggere nel cielo i presagi di futuri danni.»
  20. «Influsso di stella non può indurlo in peccato.»
  21. Fu un nobile cittadino di Piacenza, autore di rime volgari ed amico del Petrarca, che gli diresse parecchie epistole metriche e una in prosa: e questa è press’a poco del 1348. Lancillotto era stato fatto cavaliere da Luchino Visconti sul campo di battaglia di Parabiago nel 1337 e morì il primo settembre 1359 in Padova.
  22. «Veste», latinismo.
  23. Non è negativo, ma copulativo.
  24. «Annoi, affligga.» Il soggetto della proposizione è natura.
  25. Il cielo circoscritto è l’insieme dei nove cieli circoscritti alla terra.
  26. «Avverso agli uomini.»
  27. «A meno che (non forse) l’ira di Dio non spiri contro l’ordine assegnato.»
  28. Gl’ignoranti.
  29. Mente matura, «maturamente.»
  30. Ecco il concetto dei vv. 9-16: «Sono gl’ignoranti che si correggono dal vizio, per paura e non per maturità di riflessione, solo quando vedono i cieli infuriare, come se ciò fosse effetto di virtù: e così le tenebre e il sereno possono indurre al bene ed al male.»
  31. Par che questo bizzarro rimatore e uomo di corte fosse bandito da Bologna, ove dimorava, nel marzo 1344, in seguito ad un processo criminale intentatogli per un ferimento in rissa da lui perpetrato; ma avrebbe rimesso il piede in quella città nel 1348, benché il bando contro di lui fosse legalmente cassato solo nell’ottobre del 1350. In quest’intervallo Antonio andò certo a vagabondare per le corti italiane, e non è improbabile che vivesse qualche tempo in Romagna, conservandoci egli stesso in una sua celebre canzone il ricordo di una precedente dimora in Forlì. Questa potrebbe appunto cadere nel tempo a cui appartiene la presente tenzone.
  32. «Veri.»
  33. «Affinché si osservi ciò che di lui è prescritto da Dio».
  34. «Arrestato.»
  35. Gli altri corpi celesti.
  36. «Mantengono.» Il verbo è al singolare, benché sia plurale il soggetto; così pure impromecte di questo medesimo verso, cura del precedente, offende e commette dei successivi.
  37. Cfr. la n. 3 a p. 117.
  38. «Le stelle son di così nobile natura, che la nostra inferiorità morale ci costringe ad inchinarci ad esse.»
  39. Si trovava in Forlì sin dalla fine del 1347; e nel tempo stesso, all’incirca, in cui fu scritta questa tenzone, ne scambiava con Cecco de’ Rossi un’altra in carmi bucolici latini.
  40. Adamo.
  41. «Creato.»
  42. Gli Ebrei.
  43. «Meravigliosi, portentosi.»
  44. Come furono il primo uomo e il popolo d’Israele.
  45. «All’anime perfette è meno gravoso seguitare in sé i moti del cielo.»
  46. «Benché spesso gli eclissi solari o i fulmini (squarciar nuvolette) si limitino a dar un innocuo spavento.»
  47. Cristo.
  48. «Tornare alla sua abitazione.»
  49. In occasione dell’assassinio di Cesare.
  50. «Copersero il sole.» Vuol dire il Rossi che presagi della morte del dittatore furon visti nel cielo in forma di rossi fiammeggiamenti di comete e di eclissi solari.
  51. Il sole.
  52. Prima che Bruto insorgesse contro Ottaviano e Roma.
  53. «È ben superbo e protervo colui che non teme il significato dei segni celesti.»