Oimè, che lei mirando il mio volere 50Non avrei sazio mai, ma stretta cura
Di mirare altro mi mise in calere.
Levando adunque gli occhi in ver l’altura,
Vidi quel Giove che ’n forma di toro,
Non già rubesto, mutò sua figura, 55Che qui avendo per umil dimoro
Europa sottratta a cavalcarsi,
Per me’ compir l’avvisato lavoro;
E’ parea quindi correndo levarsi,
E gir su per lo mar, come cacciato 60Fosse, e poi pianamente posarsi
In quel paese, che poi fu nomato
Da quella che d’addosso si dispose,
Ripigliando sua forma innamorato.
Nel loco poi con parole pietose 65Pareva a me che la riconfortasse,
Narrando ancor le sue piaghe amorose;
Ma con disio parea poi l’abbracciasse,
E con diletto l’avuto disio
Senza contasto parea terminasse. 70Alquanto appresso ancora questo iddio,
Com’una gotta d’oro risplendente
Trasformato, e cadendo, lui vid’io
Gittarsi in una torre, e prestamente
A una giovinetta ch’entro v’era, 75Per ben guardarla chiusa strettamente;
Il qual forse l’amava oltre maniera
Dovuta, e infra le sue bianche tette
E belle, in prova gir lasciato s’era.