Pagina:Boccaccio - Decameron II.djvu/338

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332 nota

limitandosi nel margine a proporne cautamente l’emendamento ovvero modificando senza trascurare di far conoscere la lezione originale o almeno appagandosi di mettere in guardia contro l’errore sia vero che presunto1. Aggiungasi che molte altre postille, tra le tante bizzarre o maliziose o svelte, facevan fede di una discreta coltura classica e volgare2 in chi le andava vergando (il Mannelli cita in esse Vergilio, Seneca, Giovenale, Isidoro, Dante, il «Fiammetto», tre volte la Teseide, cinque il Filostrato); che del trascrittore si doveva conservare il ricordo in Firenze come di persona ragguardevole3; che si favoleggiò, e per molto tempo si ebbe in conto di fondata veritá, che il Mannelli fosse stato intrinseco amico e, chi disse compare, chi addi-

  1. La postilla «deficiebat» s’incontra ventun volte, «deficit» quattro; alcuni emendamenti marginali son accompagnati dalle parole «credo che uogla resp. uoglia dire....» (cinque volte) o «direbbe meglo....» (una volta); in corrispondenza di un emendamento introdotto nel testo la lezione primitiva è segnata nel margine con la formula «diceva....» (quattro volte) o «dicebat prius....» (una volta); altre avvertenze suonano: «superfluum est» (due volte), «ècci troppo quel....», «troppo ci è quel....», «o quel.... u’è troppo» (due volte), «....ci è troppo, chi ben guarda», «dicit testus male, ut credo».
  2. Mi riferisco anche a quelle che furono apposte al Corbaccio, la cui copia, della stessa mano a cui si deve il Dec., viene appresso (L, cc. 174-191).
  3. In una sua lettera (VII, x) il Salutati lo ebbe a dire legato a sé «singularis dilectionis vinculo», e lo raccomandò per fargli avere in Padova un beneficio ecclesiastico. Il Novati opportunamente rilevò da questo che il Mannelli appartenesse al clero e dovesse almeno aver conseguito gli ordini minori (Giorn. stor. della lett. it., XXI, p. 453): e giá dal Passerini (Arch. stor. ital., Append., I [1842-’44], p. 139, n. 1) s’era avvertito: «Ho ragione di supporre che fosse uomo di chiesa». Per altre notizie sul Mannelli (n. intorno al 1357, † tra il 1427 ed il ’33) cfr. Novati, loc. cit., pp. 451-3, ed Epistol. di Col. Salutati, II, p. 288, n. 2. La lettera del cancelliere fiorentino (1392?) è certamente posteriore di qualche anno al tempo della copiatura del Dec., che risulta dalla nota apposta dopo l’explicit: «scripto per me francesco damaretto mannelli di xiij dagosto 1384. deo sit laus et gloria in ecternum ad honorem egregie simacuspinj et beneplacitum et mandatum» (L, c. 172 r). Nessun dubbio che debba leggersi «egregie» anzi che «egregii» (cosí lesse, p. es., il Bandini, Cat. codd. italic. Bibl. Med. Laur., col. 171; il Novati restò incerto, ma a torto: Giorn. stor., XXI, p. 454, n. 1); quanto alla parola seguente, tutti indistintamente la fecero terminare con una s, scambiando con questa lettera quello svolazzo (ben diverso dalla s finale consueta del Mannelli) che segue alla j, la quale non sarebbe stata certo introdotta in sede interna: si può solo dubitare se l’ultima sillaba sia -nj o -uj, ma è preferibile la prima lettura. Che poi il nome «simacuspinj», lungi dal risolversi in quello di un Simmaco Spini non mai esistito, sia una scrittura anagrammata del nome vero (e cioè del nome della donna ad onor della quale fu trascritto il Dec.), affermò giá ragionevolmente il Novati: ma né a lui né a me è riuscito di trovare il nome in questione.