Pagina:Boccaccio - Decameron di Giovanni Boccaccio corretto ed illustrato con note. Tomo 5, 1828.djvu/251

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la mia utilità venisti, quella in grandissimo danno non si converta, in quanto prima noiosa m’era la stanza, e gravi le catene che mi teneano; ma pure, non conoscendo il pericolo nel quale io era, nè ancora la mia viltà, quello con meno affanno portava che omai non potrò portare. Le mie lagrime multiplicheranno ogn’una in mille, e la paura diverrà in tanto maggiore che mi ucciderà, sì che, se male mi parea davanti stare, ora mi parrà star pessimamente. Lo spirito allora, nell’aspetto tutto pieno di compassione, riguardandomi, disse: non dubitare, sta’ sicuramente, e nel buono volere, nel quale al presente se’, sì persevera. La divina bontà è sì fatta e tale, che ogni gravissimo peccato, quantunque da perfida iniquità di cuore proceda, solo che buona e vera contrizione abbia il peccatore, tutto il toglie via e lava della mente del commettitore, e perdona liberalmente. Tu hai naturalmente peccato, e per ignoranza, che nel divino aspetto ha molto meno d’offesa che chi maliziosamente pecca: e ricordar ti dei quanti e quali e come enormi mali per malizia operati, egli abbia con l’onde del fonte della sua vera pietà lavati, e oltre a ciò beatificati coloro, che già, come nimici e rubelli del suo imperio, peccarono, perciocchè buona contrizione e ottima satisfazione fu in loro. E io, se non m’inganno, anzi se le tue lagrime non m’ingannano, te sì compunto veggio, che già perdono della offesa hai meritato; e certissimo sono, che desideroso se’ di satisfare in quello che per te si potrà dell’offesa commessa: alla qual cosa io ti conforto quanto più posso, acciocchè in quel baratro non cadessi donde