Pagina:Boccaccio - Fiammetta di Giovanni Boccaccio corretta sui testi a penna, 1829.djvu/160

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a molte giovini fu già cagione di cadere nell’infima parte de’ mali. Non volere più procedere, acciò che tu non guasti quello che la fortuna t’ha riservato; confòrtati, e teco medesima pensa di non avere veduto mai Panfilo, o che ’l tuo marito sia desso. La fantasia s’adatta ad ogni cosa, e le buone imaginazioni sostengono leggiermente d’essere trattate. Sola questa via ti può rendere lieta; la qual cosa tu dei sommamente disiderare, se cotanto l’angoscie t’offendono, quanto gli atti e le tue parole dimostrano.

Queste parole, o simiglianti, non una volta ma molte, senza rispondervi alcuna cosa, ascoltai io con grave animo, e avvegna che io oltremodo turbata fossi, nondimeno vere le conosceva; ma la materia, mal disposta ancora, senza alcuna utilità le riceveva; anzi, ora in una parte e ora in un’altra voltandomi, avvenne alcuna volta che, da impetuosa ira commossa, non guardandomi dalla presenza della mia balia, con voce oltre alla donnesca gravezza rabbiosa, e con pianto oltre ad ogni altro grandissimo così dissi: O Tesifone, infernale furia, o Megera, o Aletto, stimolatrici delle dolenti anime, dirizzate li feroci crini, e le paurose idre con ira accendete a nuovi spaventamenti, e veloci nell’iniqua camera entrate della malvagia donna, e ne’ suoi congiugnimenti con l’involato amante accendete le misere facelline, e quelle intorno al dilicato letto portate in segno di funesto agurio a’ pessimi amanti! O qualunque altro popolo delle nere case di Dite, o iddii degl’immortali regni di Stige, siate presenti qui, e co’ vostri tristi ramarichii porgete paura ad essi infedeli. O misero gufo, canta sopra l’infelice tetto! E voi, o Arpie, date segno di futuro