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50 LA FIAMMETTA

alla porta del nostro palagio, volendo dire Addio!, sùbito fu la parola tolta alla mia lingua, e il cielo agli occhi miei. E quale succisa rosa negli aperti campi infra le verdi fronde sentendo i solari raggi cade perdendo il suo colore, cotale semiviva caddi nelle braccia della mia serva; e dopo non piccolo spazio, aiutata da lei fedelissima, con freddi liquori rivocata al tristo mondo, mi risentii; e sperando ancora d’essere alla mia porta, quale il furioso toro, ricevuto il mortal colpo, furibondo si leva saltando, cotale io stordita levandomi, appena ancora veggendo, corsi, e con le braccia aperte la mia serva abbracciai credendo prendere il mio signore, e con fioca voce e rotta dal pianto in mille partì dissi: O anima mia, addio.

La serva tacque, conoscendo il mio errore; ma io poi, ricevuta veduta più libera, il mio avere fallito sentendo, appena un’altra volta in simile smarrimento non caddi.

Il giorno era già chiaro per ogni parte, onde io nella mia camera senza il mio Panfilo veggendomi, e intorno mirandomi per ispazio lunghissimo, come ciò avvenuto si fosse ignorando, la serva dimandai che di lui avvenuto fosse, a cui ella piagnendo rispose: Già è gran pezza che egli, qui nelle sue braccia recatavi, da voi il sopravvegnente giorno con lagrime infinite a forza il divise.

A cui io dissi: Dunque si è egli pure partito?

Sì rispose la serva.

Cui io ancora seguendo addimandai: Or con che aspetto si partì? Con grave?

A cui ella rispose: Niuno mai più dolente ne vidi.

Poi seguitai: Quali furono gli atti suoi? E che parole disse nella partenza?

Ed ella rispose: Voi quasi morta nelle mie braccia rimasa, vagando la vostra anima non so dove, egli vi si recò, tosto che tale vi vostra anima non so dove, egli vi si recò, tosto che tale vi vide, nelle sue teneramente; e con la