Pagina:Boccaccio - Filocolo (Laterza, 1938).djvu/239

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libro terzo 235

consiglio della ragione mi rendé alcun conforto, per lo quale io ancora vivo in quello essere che tu mi vedi, ricoprendo il mio dolore con infinta allegrezza. Le cose sono da amare ciascuna secondo la sua natura. Quale sará colui sí poco savio che ami la velenosa cicuta per trarne dolce sugo? Molto meno savio fia colui che una femina amerá con isperanza d’essere solo amato da lei lunga stagione. La loro natura è mobile. Qual uomo sará che possa ammendare ciò che gl’iddii o li superiori corpi hanno fatto? E però come cosa mobile sono da amare, acciò che de’ loro movimenti gli amanti, sí come esse, si possano ridere: e se elle mutano uno per un altro, quegli possa un’altra in loco di quella mutare. Niuno si dorrá seguendo questo consiglio. Tu, non avendolo seguito, ora per niente piangi. Con ciò sia cosa che tu niente abbia perduto, di che ti duoli tu, sí come tu dí? Niente possedesti: e chi non possiede non può perdere; e chi non perde, di che si lamenta? Credesti alcuna volta, per alcuno sguardo fatto a te da quella giovane cui tu ami, che ella t’amasse: hai conosciuto che quello era bugiardo, e che ella non t’ama. Certo di questo ti dovresti tu rallegrare, e rendere infinite grazie agl’iddii, che t’hanno aperti gli occhi prima che tu in maggiore inganno cadessi. Se forse dell’esilio che hai piangi, non fai il meglio: ché, pensando il vero, niuno esilio si può avere, con ciò sia cosa che il mondo sia una sola cittá a tutti. Ove che la fortuna ponga altrui, ella nol può cacciare di quello. In ciascun loco giunge altrui la morte con finale morso. A’ virtuosi ogni paese è il loro. Lascia questi pianti e leva su: viene con meco, e virtuosamente pensa di vivere, e metti in oblio la malvagitá di quella giovane che a questo partito t’ha condotto: che da’ cieli possa foco discendere che egualmente tutte le levi di terra!». A cui Fileno disse: «Giovane, ben credo che ’l tuo dolore fu grande, e similmente il tuo animo, poi che con pazienza lo potesti sostenere; ma io mi sento troppo minore l’animo che la doglia, e però invano ci si balestrano confortevoli parole. Io sono disposto a piangere mentre che io viverò: gl’iddii per me del tuo buono volere