uccelli dell’aere non paurosi, con piú potenti di loro davano incalzamenti dilettevoli a’ riguardanti. E alcun giorno li ritenne ne’ ramosi boschi, con leggieri cani e con armi seguitando le timide bestie, poi alli loro ostieri tornando, dove in canti con dolci suoni di diversi strumenti spendevano il tempo, che al sonno e al prendere de’ cibi avanzava loro. In questa maniera molti giorni dimorando, uno di quelli avvenne che essendo Filocolo co’ suoi compagni entrato in un dilettevole boschetto, seguito da Biancofiore e da molti altri giovani, con lento passo, davanti a loro, picciolissimo spazio, senza esser cacciato, si levò un cervo: il quale come Filocolo il vide, preso delle mani d’uno dei suoi compagni un dardo, correndo cominciò a seguitare, e giá parendogli essere al cervo vicino, s’aperse nelle braccia, e vibrando il dardo, col forte braccio quello lanciò, credendo al cervo dare; ma tra il cervo e Filocolo era quasi per diametro posto un altissimo pino, nella stremita del cui duro pedale il dardo percosse, e con la sua forza un pezzo della dura corteccia scrostò dall’antico pedale, egli ed ella assai a quello vicini cadendo: alla quale sangue con dolorosa voce venne appresso, non altrimenti che quando il pio Enea del non conosciuto Polidoro, sopra l’arenoso lito, levò un ramo, e disse: «O miserabili fati, io non meritai la pena ch’io porto, e voi non contenti ancora mi stimolate con punture mortali! Oh, felici coloro, a cui è lecito il morire, quando quello addomandano!«. E qui si tacque. Questa voce il veloce corso di Filocolo e de’ suoi compagni, quasi tutti pieni di paura e di maravíglia, ritenne, e quasi storditi stavano riguardando, non sappiendo che fare; ma dopo alquanto Filocolo con pietosa voce cosí cominciò a dire: «O santissimo arbore, da noi non conosciuto, se in te alcuna deitá si nasconde, come crediamo, perdona alle non volonterose mani de’ tuoi danni: caso, non deliberata volontá ci fece offendere. Purghi la tua pietá il nostro difetto, i quali presti ad ogni sodisfazione, temendo la tua ira, siamo disposti». Soffiò per la vermiglia piaga alquanto il tronco, e poi il suo soffiare convertendo in parole, cosí rispose: «Giovani, nulla deitá in me si richiude,