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Pagina:Boccaccio - Filocolo (Laterza, 1938).djvu/461

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libro quinto 457

la quale se si richiudesse, i vostri pietosi prieghi avriano forza di piegarla a perdonarvi: dunque, maggiormente me, il quale senza forza di vendicarmi dimoro, disideroso della grazia non tanto degli uomini, quanto ancora delle fiere, con ciò sia cosa che ciascuno nuocere mi possa, e noccia tal volta, né io possa piú nuocere, però bastimi per sodisfazione il vostro pentère, né vi sia questo dagl’iddii imputato in colpa». Seguí a questa voce Filocolo: «Dunque, o giovane, se gl’iddii e gli uomini e le fiere ti siano graziosi e i tuoi rami con pietosa sollecitudine conservino interi, non ti sia noia dirci chi tu se’, e per che qui relegato dimori». Cosí rispose il pedale: «L’amaritudine, che la dolente anima sente, non può tòrre che a’ vostri prieghi non sia sodisfatto, perché tanto è dalla dolcezza di quelli legata, che posponendo l’angoscia, disiderosa di piacervi, vuole che io vi risponda, e però cosí brievemente vi dirò. La genetrice di me misero, mi diè per padre un pastore chiamato Eucomos, i cui vestigi quasi tutta la mia puerile etá seguitai; ma poi che la nobiltá dello ingegno, del quale natura mi dotò, venne crescendo, torsi i piedi dal basso colle, e sforzandomi per piú aspre vie di salire all’alte cose, avvenne che, per quelle incautamente andando, nelle reti tese da Cupido incappai, delle quali mai sviluppare non mi potei: di che con ragione dolendomi, per miserazione degl’iddii, in quella forma che voi mi vedete, per fuggire peggio, mi trasmutarono». E qui si tacque.

Poi che Filocolo sentí la dolente voce aver posto silenzio, e giá Biancofiore con sua compagnia essere sopravvenuta, egli ricominciò cosi: «Se quella terra, che noi calchiamo, lungamente alle tue radici presti giazioso umore, per lo quale esse diligentemente nutrite le tue fronde nutrichino e a’ tuo! rami aggiungano copiosa quantita de’ tuoi pomi, e se il tuo pedale sia lungamente dalla tagliente scure difeso, non ti sia duro ancora parlarne e farne noto donde fosti, e il tuo nome, e come qui venisti, e per che modo nelle reti d’amore incappasti, e qual fu la cagione, e perché di lui dolendoti, poi in questo albero, piú che in un altro, ti trasformasti, e per cui,