Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/53

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noi è che nelle nostre menti non sia molte volte stato ricercato e essaminato, e niuno più utile che quello ch’è preso ne troviamo per la nostra salute. E credi che Iddio non vuole che i suoi regni vilmente operando s’acquistino, ma virtuosamente affannando: e però taciti, e nelle nostre virtù come noi medesimi ti confida -.

Udendo Giulia Lelio esser pur fermo nel suo proposito, più amaramente piangendo gli si gittò al collo, dicendo: Poi che al mio consiglio non ti vuoi attenere, nè mi vuoi far lieta della dimandata grazia, fammene un’altra, la quale sia ultima a me di tutte quelle che fatte m’hai. Fa almeno che quando le tue schiere affrontate co’ non conosciuti nimici saranno, che quando tu vedrai quel crudele cavaliere, qual che egli si sia, che verso te dirizzerà l’aguta lancia, io misera, sì come tuo scudo, riceva il primo colpo, acciò che agli occhi miei non si manifesti poi alcuno che disideri d’offenderti. Questa mi fia grandissima grazia, però che un colpo terminerà infiniti dolori. Oimè sconsolata! Or s’egli avvenisse che io sanza te mi trovassi viva, qual dolore, quale angoscia fu mai per alcuna misera sentita sì noiosa, che alla mia si potesse assimigliare? E quello che più mi recherebbe pena sarebbe il voler morire e non potere. Ma certo io pur potrei, però che se questo avvenisse, io sanza alcuno indugio, in quella maniera che Tisbe seguì il suo misero Piramo, così la mia anima, cacciata del misero corpo con aguto coltello, seguirebbe la tua ovunque ella andasse. Ma concedimi questa ultima grazia, acciò che tu privi di molta tristizia la poca vita corporale che m’è serbata: e