Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/302

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mi pare essere certa che di leggiere me per te metteria in oblio; ma caro mi saria molto conoscerti, acciò che la degna laude che tu meriti, con la mia voce manifestassi agl’ignoranti -. Queste parole dette, parea a Biancifiore che la donna così le parlasse: O cara figliuola, tanto si stenderà la mia vita quanto il mondo si lontanerà; e allora che tutte le cose periranno, e io. Le mie bellezze, secondo la tua estimazione, n’hanno già molti fatti beati e fanno e faranno, solamente che di quelle si truovino disianti, le quali però sì come tu imagini, non hanno potenza di nuocere alle tue. Tu disiderosa nel tuo parlare di conoscermi, il dì passato rifiutasti di venirmi a vedere e a conoscere. Io per te perdei il tuo padre e la tua madre, e tu di loro non vuoi il difetto rintegrare. Se io ti paio così bella come tu di’, come a vedere non mi vieni? Ora io voglio che tu sappi ch’io sono la tua Roma. E se i peccati del tuo suocero, de’ quali gran parte fieno, per costui, volgendosi al vecchio, davanti la maestà del sommo Giove deleti, non fossero, il tuo Florio la spada di quest’altro ancora terrebbe; però viemmi a vedere sanza alcuno indugio: il tuo fattore vuole, e non sanza gran bene di te e del tuo marito -. E questo detto sparì, né più la vide avanti Biancifiore; per che rimasa stupefatta nel sonno di tanta bellezza, dopo picciolo spazio si svegliò, né più dormì quella notte: anzi, sopra ciò che veduto avea, pensosa stette infine che il sole apparve. Allora ella e Filocolo levati e venuti a’ verdi boschi, e rimirando i nuovi tagliatori, ciò che Glorizia il passato giorno l’avea parlato e quello che la notte avea veduto, detto e udito