Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/53

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reina, ora viene a me la volta del proporre nel vostro cospetto, ond’io con la vostra licenza dirò. E da ora, se io troppo nel mio parlare mi stendessi, a voi e appresso agli altri circunstanti dimando perdono, però che quello ch’io intendo di proporre interamente dare non si potrebbe a intendere, se a quello una novella, che non fia forse brieve, non precedesse -. E dopo queste parole così cominciò a parlare: Nella terra là dov’io nacqui, mi ricorda essere un ricchissimo e nobile cavaliere il quale di perfettissimo amore amando una donna nobile della terra, per isposa la prese. Della quale donna, essendo bellissima, un altro cavaliere chiamato Tarolfo s’innamorò; e di tanto amore l’amava, che oltre a lei non vedeva, né niuna cosa più disiava, e in molte maniere, forse con sovente passare davanti alle sue case, o giostrando, o armeggiando, o con altri atti, s’ingegnava d’avere l’amore di lei, e spesso mandandole messaggieri, forse promettendole grandissimi doni, e per sapere il suo intendimento. Le quali cose la donna tutte celatamente sostenea, sanza dare o segno o risposta buona al cavaliere, fra sé dicendo: "Poi che questi s’avedrà che da me né buona risposta né buono atto puote avere, forse elli si rimarrà d’amarmi e di darmi questi stimoli". Ma già per tutto questo Tarolfo di ciò non si rimanea, seguendo d’Ovidio gli amaestramenti, il quale dice l’uomo non lasciare per durezza della donna di non perseverare, però che per continuanza la molle acqua fora la dura pietra. Ma la donna, dubitando non queste cose venissero a orecchie del marito, e esso pensasse poi che con volontà di lei questo avvenisse, propose di dirgliele; ma poi mossa da miglior consiglio