Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/55

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piano che già tinto fu del romano sangue. E essendo per grande spazio andato, egli si vide davanti a’ piè d’un monte un uomo, non giovane né di troppa lunga età, barbuto, e i suoi vestimenti giudicavano lui dovere essere povero, picciolo di persona e sparuto molto, il quale andava cogliendo erbe e cavando con un picciolo coltello diverse radici, delle quali un lembo della sua gonnella avea pieno. Il quale quando Tarolfo il vide, si maravigliò e dubitò molto non altro fosse; ma poi che la stimativa certamente gli rendé lui essere uomo, egli s’appressò a lui e salutollo, domandandolo appresso chi egli fosse e donde, e quello che per quello luogo a così fatta ora andava faccendo. A cui il vecchierello rispose: "Io sono di Tebe, e Tebano è il mio nome, e per questo piano vo cogliendo queste erbe, acciò che de’ liquori d’esse faccendo alcune cose necessarie e utili a diverse infermità, io abbia onde vivere, e a questa ora necessità e non diletto mi ci costringe di venire; ma tu chi se’ che nell’aspetto risembri nobile, e quinci sì soletto vai?". A cui Tarolfo rispose: "Io sono dell’ultimo ponente assai ricco cavaliere, e da’ pensieri d’una mia impresa vinto e stimolato, non potendola fornire, di qua, per meglio potermi sanza impedimento dolere, mi vo così soletto andando". A cui Tebano disse: "Non sai tu la qualità del luogo come ella è? Perché inanzi d’altra parte non pigliavi la via? Tu potresti di leggieri qui da furiosi spiriti essere vituperato". Rispose Tarolfo: "In ogni parte puote Iddio igualmente: così qui come altrove gli è la mia vita e ’l mio onore in mano; faccia di me secondo che a lui piace: veramente a me sarebbe la morte un ricchissimo tesoro".