Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 2, 1829.djvu/56

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Disse allora Tebano: "Quale è la tua impresa, per la quale, non potendola fornire, sì dolente dimori?". A cui Tarolfo rispose: "E tale che impossibile mi pare omai a fornire, poi che qui non ho trovato consiglio". Disse Tebano: "Osasi dire?". Rispose Tarolfo: "Sì, ma a che utile?". "Forse niuno" disse Tebano, "ma che danno?". Allora Tarolfo disse: "Io cerco di potere aver consiglio come del più freddo mese si potesse avere un giardino pieno di fiori e di frutti e d’erbe, bello sì come del mese di maggio fosse, né trovo chi a ciò aiuto o consiglio mi doni che vero sia". Stette Tebano un pezzo tutto sospeso sanza rispondere, e poi disse: "Tu e molti altri il sapere e le virtù degli uomini giudicate secondo i vestimenti. Se la mia roba fosse stata qual è la tua, tu non m’avresti tanto penato a dire la tua bisogna, o se forse appresso de’ ricchi prencipi m’avessi trovato, come tu hai a cogliere erbe; ma molte volte sotto vilissimi drappi grandissimo tesoro di scienza si nasconde: e però a chi proffera consiglio o aiuto niuno celi la sua bisogna, se, manifesta, non gli può pregiudicare. Ma che doneresti tu a chi quello che tu vai cercando ti recasse ad effetto?". Tarolfo rimirava costui nel viso, dicendo egli queste parole, e in sé dubitava non questi si facesse beffe di lui, parendogli incredibile che, sei colui fosse stato Iddio, ch’egli avesse potuto fare virtù. Non per tanto egli li rispose così: "Io signoreggio ne’ miei paesi più castella, e con esse molti tesori, i quali tutti per mezzo partirei con chi tal piacere mi facesse". "Certo" disse Tebano "se questo facessi, a me non bisognerebbe d’andare più cogliendo l’erbe". "Fermamente" disse Tarolfo "se tu se’ quelli che in ciò mi prometti di dare vero effetto,