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PARTE TERZA | 91 |
XXXII.
A cui Troilo disse: anima mia,
I’ te ne prego, sì ch’io t’abbia in braccio
Ignuda sì come il mio cor disia.
Ed ella allora: ve’ che me ne spaccio;
E la camicia sua gittata via,
Nelle sue braccia si raccolse avaccio;
E strignendo l’un l’altro con fervore,
D’amor sentiron l’ultimo valore.
XXXIII.
O dolce notte, e molto disiata,
Chente fostu alli due lieti amanti!
Se la scïenza mi fosse donata
Che ebbero i poeti tutti quanti,
Per me non potrebbe esser disegnata;
Pensilo chi fu mai cotanto avanti
Mercè d’amor, quanto furon costoro,
E saprà in parte la letizia loro.
XXXIV.
E’ non uscir di braccio l’uno all’altro
Tutta la notte, e tenendosi in braccio,
Si credeano esser tolti l’uno all’altro,
O che non fosse ver che insieme in braccio,
Siccome elli eran, fosse l’uno all’altro;
Ma sognar si credean d’essere in braccio;
E l’uno all’altro domandava spesso,
O t’ho io in braccio, o sogno, o se’ tu desso?