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PARTE TERZA | 109 |
LXXXVI.
Se cento lingue, e ciascuna parlante,
Nella mia bocca fossero, e ’l sarpere
Nel petto avessi d’ogni poetante,
Esprimer non potrei le virtù vere,
L’alta piacevolezza e l’abbondante
Sua cortesia; chi n’ha dunque potere,
Prego divoto che lei lungamente
Mi presti, e me ne faccia conoscente;
LXXXVII.
Che se’ tu dessa, o dea, che far lo puoi,
Sol che tu vogli, ed io ten prego molto;
Chi più felice si potrà dir poi,
Se ’l tempo che con meco esser dee volto
Tutto disponi a’ piacer miei e suoi?
Deh fallo, o dea, poichè mi son raccolto
Nelle tue braccia, donde uscito m’era,
Non ben sapendo la tua virtù vera.
LXXXVIII.
Segua chi vuole i regni e le ricchezze,
L’arme, i cavai, le selve, i can, gli uccelli,
Di Pallade gli studii e le prodezze
Di Marte, ch’io in mirare gli occhi belli
Della mia donna e le vere bellezze
Il tempo vo’ por tutto, che son quelli
Che sopra Giove mi pongon, qualora
Gli miro, tanto il cor se ne innamora.