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120 | IL FILOSTRATO |
XXII.
E ’n verso il suo palagio se ne gio,
Senza ascoltare o volgersi ad alcuno,
E tal qual era sospiroso e pio,
Senza voler compagnia di nessuno,
Nella camera ginne, e che disio
Di riposarsi avea, disse; onde ognuno,
Amico e servitor quantunque caro,
N’uscì, ma pria le finestre serraro.
XXIII.
A quel che segue, vaga donna, appresso,
Non curo io guari se non se’ presente,
Perciocchè il mio ingegno da sè stesso,
(Se la memoria debol non gli mente)
Saprà il grave dolor, dal quale oppresso
Per la partenza tua tristo si sente,
Ben raccontar senza alcun tuo soccorso,
Che se’ cagion di sì amaro morso.
XXIV.
I’ ho infino a qui lieto cantato
Il ben che Troilo sentì per amore,
Come che di sospir fosse mischiato,
Or di letizia volgere in dolore
Conviemmi, perchè se da te ascoltato
Non son, non curo, che a forza il core
Ti cangerà, facendoti pietosa
Della mia vita più ch’altra dogliosa.