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132 | IL FILOSTRATO |
LVIII.
Se tu che viver suoi d’amor cruccioso,
Non l’hai in altra potuto mutare,
Io che con lui vivea lieto e gioioso,
Come ’l potrò da me così cacciare
Come ragioni? Perchè angoscïoso
Caso subitamente soprastare
Ora mi veggia? Io son per altra guisa
Preso, che la tua mente non divisa.
LIX.
Credimi Pandar, credimi che amore
Quando s’apprende per sommo piacere
Nell’animo d’alcun, cacciarnel fuore
Non si può mai, ma puonne ben cadere
In processo di tempo, se dolore,
O morte, o povertà, o non vedere
La cosa amata non gli son cagione,
Com’egli avvenne già a più persone.
LX.
Che farò dunque, lasso sventurato,
Se io Griseida perdo in tal maniera?
Che l’ho perduta, perocchè cambiato
A lei è Antenore: oimè che m’era
La morte meglio, o non esser mai nato:
Deh che farò? il mio cor si dispera:
Deh, morte vieni a me che t’addimando,
Deh vien, non mi lasciar languire amando.