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PARTE QUARTA | 133 |
LXI.
Morte, tu mi sarai tanto soave,
Quant’è la vita a chi lieta la mena:
Già l’orrido tuo aspetto non m’è grave,
Dunque vieni e finisci la mia pena.
Deh non tardar, che questo fuoco m’ave
Incesa già sì ciascheduna vena,
Che refrigerio il tuo colpo mi fia,
Deh vieni omai che ’l cuor pur ti disia.
LXII.
Uccidimi per Dio, non consentire
Ch’io viva tanto in questo mondo, ch’io
Il cuor del corpo mi veggia partire.
Deh fallo morte, i’ ten prego per Dio,
Assai mi dorrà quel più che ’l morire,
Contenta in questa parte il mio disio;
Tu n’uccidi ben tanti oltre al volere,
Che ben puo’ fare a me questo piacere.
LXIII.
Così piangendo si rammaricava
Troilo, e Pandar facea similmente,
E nondimen sovente il confortava,
Quanto poteva il più pietosamente;
Ma tal conforto nïente giovava,
Anzi cresceva continovamente
Il pianto doloroso ed il tormento,
Tant’era di cotal cosa scontento.