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142 | IL FILOSTRATO |
LXXXVIII.
Ella diceva: lassa sventurata,
Misera me dolente, ove vo io?
O trista me, che ’n mal punto fu’ nata,
Dove ti lascio dolce l’amor mio?
Deh or fuss’io nel nascere affogata,
O non t’avessi, dolce mio disio,
Veduto mai, poichè sì ria ventura,
E me a te, e te a me or fura.
LXXXIX.
Che farò io, dogliosa la mia vita,
Allor che più non ti potrò vedere?
Che farò io da te, Troilo, partita?
Certo non credo mai mangiar nè bere;
E se per sè non sen va la smarrita
Anima fuor del corpo, a mio potere
Le caccerò con fame, perch’io veggio
Che sempre mai andrò di male in peggio.
XC.
Or vedova sarò io daddovero,
Poichè da te dipartir mi conviene,
Cuor del mio corpo, e ’l vestimento nero
Ver testimonio fia delle mie pene.
Oimè lassa, che duro pensiero
È quello in che la partenza mi tiene!
Oimè, come potrò io sofferire,
Troilo vedermi da te dipartire?