Pagina:Boccaccio - Il Filostrato di Giovanni Boccaccio nuovamente corretto su i testi a penna, 1831.djvu/16

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4 PROEMIO

cora non che in voi, la quale credo che come gentile siete così siate pietosa, in niuno che mio nimico fosse, e di ferro avesse il petto, a forza avrebbono messa pietade. Nè solamente questo è avvenuto quante volte ricordato mi sono d’avere la vostra piacevole presenza perduta gli ha fatti tristi, ma qualunque cosa è loro davanti apparita, di loro maggior miseria è stata cagione. Oimè, quante volte per minor doglia sentire, si sono spontaneamente ritorti dal guardare il tempio, le logge, le piazze, e gli altri luoghi, ne’ quali, già vaghi e desiderosi cercavano di vedere, e talvolta in essi videro la vostra sembianza; e dolorosi hanno il cuore costretto a dir seco quello verso di Geremia: «O come siede sola la città, la quale in addietro era piena di popolo, e donna delle genti!» Certo io non dirò ogni cosa parimente attristargli, ma io affermo solo una essere quella parte che alquanto la loro tristizia mitiga, riguardando quelle contrade, quelle montagne, quella parte del cielo, fra le quali e sotto la quale porto ferma opinione che voi siate; quindi ogni aura, ogni soave vento che di colà viene, così nel viso ricevo, quasi il vostro senza niuno fallo abbia tocco: nè è perciò troppo lungo questo mitigamento, ma quale sopra le cose unte veggiamo talvolta le fiamme discorrere, tal sopra l’afflitto cuore questa soavità discorre, fuggendo subita per lo sopravvegnente pensiero che mi mostra non potervi vedere, essendo di ciò senza misura acceso il mio disio.

Che dirò de’ sospiri, i quali nel passato piacevole