altro ricorso, sentendomi la via chiusa del rivedervi, per la cagione mostrata, alle lagrime tralasciate ritorno. Ah lasso, quanto m’è la fortuna crudele e nemica ne’ miei piaceri, sempre stata rigida maestra e correggitrice de’ miei errori! ora misero me il conosco, ora il sento, ora apertissimamente discerno, quanto di bene, quanto di piacere, quanto di soavità, più nella luce vera degli occhi vostri volgendola ne’ miei, che nella falsa lusinga del mio pensier dimorasse. Così adunque, o splendido lume della mia mente, col privarmi della vostra amorosa vista, ha fortuna risoluta la nebula dell’errore per addietro da me sostenuto: ma nel vero sì amara medicina non bisognava a purgare la mia ignoranza, più lieve gastigamento m’avrebbe nella diritta via ritornato. Ora così vagliano le mie forze a quelle della fortuna? quantunque la mia ragione sia molta, non possono resistere. E come che si vada, io sono pure per la vostra partenza a tal punto venuto, qual di sopra v’hanno le mie lettere dichiarato; e con mia gravissima noia sono divenuto certo di ciò, che prima incerto disputava in contrario. Ma da venire è omai a quel termine, per lo quale scrivendo infino a qui son trascorso, e dico, che vedendomi in tanta e così aspra avversità per lo vostro dipartir pervenuto, prima proposi di ritenere del tutto dentro del tristo petto l’angoscia mia, acciocchè palesata non fosse per avventura di molto maggiore efficace cagione; e ciò sostenendo con forza, assai vicino a disperata morte mi fe’ venire, la quale se pure venuta fosse, senza niun fallo allora cara mi sarebbe stata. Ma poi, non so