da che occulta speranza mosso, di dovervi pure ancora quando che sia rivedere, e nella prima felicità ritornare gli occhi miei, mi nacque non solamente paura di morte, ma desiderio di lunga vita, quantunque misera non vedendovi la dovessi menare. E conoscendo assai chiaramente, che tenendo io del tutto, come proposto avea, la mia conceputa doglia nel petto nascosa, era impossibile, che delle mille volte che essa abbondante e ogni termine trapassante sopravvenia, alcuna non vincesse tanto le forze mie, già debolissime divenute, che morte senza fallo ne seguirebbe, e più in conseguenza non vi vedrei. Da più utile consiglio mosso mutai proposta, e pensai di volere con alcuno onesto rammarichio dare luogo a quello a uscire dal tristo petto, acciocchè io vivessi, e potessi ancora rivedervi, e più lungamente vostro dimorassi vivendo. Nè prima tal pensiero nella mente mi venne, che il modo con esso subitamente m’occorse; dal quale avvenimento, quasi da nascosa divinità spirato, certissimo augurio presi di futura salute. E il modo fu questo, di dovere in persona di alcuno passionato, siccome io era e sono, cantando narrare i miei martirii. Meco adunque con sollecita cura cominciai a rivolgere l’antiche storie, per trovare cui potessi verisimilmente fare scudo del mio segreto e amoroso dolore. Nè altro più atto nella mente mi venne a tal bisogno, che il valoroso giovane Troilo, figliuolo di Priamo nobilissimo re di Troia, alla cui vita, in quanto per amore e per la lontananza della sua donna fu doloroso, se fede alcuna alle antiche storie si può dare, poichè Griseida