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222 | IL FILOSTRATO |
XLVI.
Troilo ch’ancor fremea di cruccio acceso,
Quanto potea, dolente, l’ascoltava;
E poi che l’ebbe lungamente inteso,
Qual esso ancor doglioso lagrimava,
Ver lui si volse, il quale stava atteso
Se dall’impresa folle si mutava,
E in cotal guisa li parlò piangendo,
Sempre il parlar con singhiozzi rompendo:
XLVII.
Pandaro, vivi di questo sicuro,
Che io son tutto tuo in ciò ch’io posso,
Il vivere e ’l morir non mi fia duro
Come ti piacerà, e se rimosso
Dal furor fui da consiglio maturo,
Poco davanti quando tu addosso
Mi fosti per la mia propria salute,
Non se ne dee ammirar la tua virtute.
XLII.
In tale error la subita credenza
Del tristo sogno mi fece venire;
Or men cruccioso, la mia gran fallenza
Aperta veggio e ’l mio folle desire;
Ma se tu vedi con che esperienza
Di questa sospezione il ver sentire
Io possa, dilla, per Dio ten richieggio,
Ch’io son turbato e da me non la veggio.