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Pagina:Boccaccio - Il Filostrato di Giovanni Boccaccio nuovamente corretto su i testi a penna, 1831.djvu/244

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232 IL FILOSTRATO


LXXVI.


Quinci la diede a Pandar suggellata,
     Che la mandò: ma la risposta invano
     Da essi fu per più giorni aspettata;
     Onde il dolor di Troilo più che umano
     Perseverò, e fugli raffermata
     L’openïon del sogno suo non sano,
     Non però tanto ch’el non isperasse
     Che pure ancor Griseida l’amasse.

LXXVII.


Di giorno in giorno il suo dolor crescea
     Mancando la speranza, onde a giacere
     Por li convenne, che più non potea:
     Ma pur per caso un dì ’l venne a vedere
     Deifebo, a cui molto ben volea;
     Il qual non vedendo el, nel suo dolere,
     Griseida, a dir cominciò pianamente,
     Deh non mi far morir tanto dolente.

LXXVIII.


Deifebo s’accorse allor, che quello
     Fosse che lo strignea, e fatta vista
     D’udito non l’aver, disse: fratello,
     Che non conforti omai l’anima trista?
     Il tempo gaio viene e fassi bello,
     Rinverdiscono i prati, e lieta vista
     Danno di sè; e il dì è già venuto
     Che della tregua il termine è compiuto.