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234 IL FILOSTRATO


LXXXII.


Intese ben Deifebo ove gieno
     Quelle parole, e confortollo assai,
     Dicendogli che là l’aspetterieno,
     Però non s’indugiasse più omai
     Al suo conforto, e addio si dicieno;
     Troilo rimase con gli usati guai,
     Deifebo a’ fratei sen venne ratto,
     Ed ebbe a lor tutto contato il fatto.

LXXXIII.


Il che essi credetter prestamente,
     Per atti già veduti; e per non farlo
     Tristo di ciò, di non dirne niente
     Fra lor diliberaro, e d’aiutarlo;
     Perchè alle donne loro incontanente
     Fer dir ch’ognuna andasse a visitarlo,
     E con suoni e cantori a fargli festa,
     Sì ch’obliasse la vita molesta.

LXXXIV.


In poca d’ora la camera piena
     Di donne fu, e di suoni e di canti:
     Dall’una parte gli era Polissena,
     Ch’un’angela pareva ne’ sembianti;
     Dall’altra gli sedea la bella Elena,
     Cassandra ancora gli stava davanti;
     Ecuba v’era, e Andromaca, molte
     Di lui cognate e parenti raccolte.