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60 | IL FILOSTRATO |
LXXXVI.
Di che Troilo con Pandaro talvolta
Si dolea forte: lasso me, dicendo,
El m’ha Griseida sì la vita tolta
Co’ suoi begli occhi, che morir n’intendo
Per lo disio fervente che si affolta
Sì sopra al cuor nel quale io ardo e incendo;
Deh che farò? che contento dovria
Solo esser della sua gran cortesia.
LXXXVII.
Ella mi guarda, e soffera ch’io guati
Onestamente lei; questo dovrebbe
Essere assai a’ miei disii infiammati;
Ma l’appetito cupido vorrebbe
Non so che più, sì mal son regolati
Gli ardor che ’l muovon, che nol crederebbe
Chi nol provasse, quanto mi tormenta
Tal fiamma, che maggiore ognor diventa.
LXXXVIII.
Che farò dunque? io non so che mi fare,
Se non chiamarti Griseida bella;
Tu sola se’ che mi puoi aiutare,
Tu valorosa donna, tu se’ quella
Che sola puoi il mio fuoco attutare,
O dolce luce e del mio cuor fiammella;
Or foss’io teco una notte di verno,
Cento cinquanta poi stessi in inferno.