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SOPRA DANTE | 89 |
razion ci ritira: della quale, siccome di bene trovato, là ove ella è opportuna, l’autore dice di voler trattare, siccome fa nel libro secondo della presente commedia, nel quale pienamente si posson comprendere e la sua santissima liberalità, e i pietosi effetti verso i peccatori, quantunque essi abbiano incontro ad essa operato.
La settima cosa dissi era da vedere, perchè più nel principio del dì scriva l’autore d’essersi ravveduto, che ad altra ora. Puossi intorno a questa parte dire, quanto gli uomini involti ne’ peccati dimorano, tanto dimorare nelle tenebre della notte, cioè della ignoranza, la quale come la notte toglie il poter conoscere o vedere le cose, quantunque nel cospetto ci sieno, così toglie il cognoscere il vero dal falso, e le cose utili dalle dannose. E perciò qualora avviene che la grazia di Dio operante tocca il peccatore, ed è da lui ricevuta, così comincia a tornar la luce della conoscenza di Dio, e di sè medesimo e del suo stato: e ognora che la luce apparisce, è di necessità che le tenebre della notte cessino: ed in quella ora che le tenebre cessano, siccome manifestamente appare, è principio del dì, e massimamente a colui il quale abbandona la notte della ignoranza, sollecitato e sospinto dalla divina grazia. E di questi dice Osea profeta in persona di Cristo: In tribulatione sua mane consurgent ad me. Ed il peccatore d’altra parte, come agli occhi dell’intelletto gli apparisce la divina luce, già le sue malvage operazioni cominciando a.conoscere, può dire quelle parole del Salmista: Mane stabo tibi et videbo; quoniam non Deus volens