cuore gli mette cotali pensieri: che fai tu, misero? ove vuo’ tu andare? da qual parte comincerai tu a rendere i furti, le ruberie, e le baratterie, e i denari in mille modi male acquistati? vuo’ tu lasciare quello che tu hai, per quello che tu non sai se tu t’avrai? vuo’ tu avere tanta fatica, tanto tempo perduto, quanto tu hai messo in ragunare? vuo’ tu venire alla mercè degli uomini? come faranno i figliuoli tuoi? vuo’gli tu vedere morir di fame? come farà la tua bella donna; e tu misero, come farai? tu diventerai favola del vulgo, tu sarai schernito, e non sarà chi ti voglia vedere nè udire: tu puoi ancora indugiare: ogni volta, eziandio morendo, può’ tu lasciare il suo a coloro da’ quali tu l’hai avuto: egli sarà il meglio che tu ancora attenda a guadagnare. E con questa e con simili dimostrazioni che il misero fa, per sodducimento e opera del dimonio, il quale alla nostra salute sempre s’oppone quanto può, spesse volte siamo frastornati; e avuta poco a prezzo la grazia di Dio nella nostra miseria ricaggiamo, e per conseguente in eterna perdizione ruiniamo: nè a guardarcene mai c’induce l’età piena d’anni; perciocchè quantunque gli altri vizii invecchino con gli uomini, sola l’avarizia irringiovenisce. E di ciò faccian verissimi testimonii Tantalo, Mida e Crasso, li quali morendo, prima lei abbandonarono, che essa da loro vivendo fosse abbandonata. Poterono adunque questi vizii essere all’autore in singularità cagione di resistenza e di paura. Ma che direm noi in generalità, che questi tre animali significhino in altri assai, che dal vizio partendosi vogliono alla virtù ritornare? Nulla altra